Uzzano e la Memoria
Il 27 gennaio 1945, l'esercito sovietico penetrava nel campo di sterminio di Auschwitz, a pochi chilometri da Cracovia, in Polonia. Il mondo intero si trovò davanti una delle più grandi tragedie della storia umana. Milioni di donne e uomini erano stati imprigionati in condizioni igieniche sovrumane, con scarso cibo, costretti a svolgere lavori sfiancanti; molti di loro morivano di stenti, altri erano avviati in massa verso le camere a gas e i loro corpi distrutti nei forni crematori. Tale trattamento perché queste donne e questi uomini erano di stirpe ebraica, erano rom o sinti, erano prigionieri politici, erano omosessuali, erano soldati di paesi avversi. Insomma, si trattò del pesante epilogo di regimi dittatoriali impregnati da una cultura razzista e antidemocratica.
Tra queste donne e questi uomini, c'erano anche degli Uzzanesi, i cui nomi riportiamo di seguito:
- Dainelli Ivo, nato a Uzzano, civile, morto il 10 aprile 1945 nel campo di lavoro di Ebensee (Austria).
- Ercolini Rutilio, nato a Uzzano nel 1912, soldato di fanteria, morto il 19 marzo 1945 in un campo di concentramento presso Francoforte (Germania).
- Natali Alfiero, nato a Uzzano nel 1923, soldato di artiglieria 10° Rgt. Artiglieria di C.d'.A., disperso l'11 febbraio 1944 nel Mar Egeo, per l'affondamento del piroscafo che lo stava trasportando verso i lager tedeschi, assieme ad altri 4000 italiani.
- Pallini Leonetto, nato a Uzzano nel 1916, sergente maggiore aereonautica, morto il 26 gennaio 1945 presso il campo di concentramento di Gusen (Austria).
- Silvestri Vinicio, nato a Uzzano nel 1923, soldato di fanteria 46° Gruppo Art., disperso l'11 febbraio 1944 nel Mar Egeo, per l'affondamento del piroscafo che lo stava trasportando verso i lager tedeschi, assieme ad altri 4000 italiani.
- Vitelli Piero, nato a Uzzano l’11 novembre 1921, caporal maggiore di fanteria, morto il 6 giugno 1944 nel lager di Willemberg (Polonia).
A proposito di Vitelli Piero, ci rimane la testimonianza di un compagno di prigionia:
"Io sottoscritto Baldi Giovanni, nato a Pescia e domiciliato a Ravenna...sotto la mia personale responsabilità, dichiaro quanto segue:
Il 9 giugno, mentre mi trovavo prigioniero dei tedeschi nel campo di concentramento XX B. sito in Willemberg, a circa sei chilometri dalla città di Marienburg, fui accompagnato con altri italiani presso il cimitero che si trova a metà strada tra il campo e la città predetta, per rendere gli onori ad un compagno deceduto per malattia.
Dal Tenente Cappellano, un siciliano del quale non conosco il nome, che lo aveva assistito durante la malattia fino al momento del decesso, seppi che il morto era certo Vitelli Piero da Santa Lucia di Uzzano.
Ritornato al campo ad avvenuta tumulazione, mi informai dai dirigenti tedeschi dai quali conobbi le notizie relative al defunto, che qui sotto Vitelli Piero di Alamanno, nato l'11 novembre 1921, residente in Via dei Fabbri 7 della frazione di Santa Lucia del Comune di Uzzano (Pistoia), numero 29994 XX A di prigioniero, caporale maggiore del 105° Mitraglieri.
Il suddetto è deceduto all'Ospedale di Marienburg per malattia il 6 giugno 1944.
È stato sepolto il giorno 9 dello stesso mese nel cimitero di Willemburg - fila III° - tumulo n° 12. Quanto sopra risponde a verità.
Pescia, lì 8 ottobre 1946
In fede,
Baldi Giovanni, Maresciallo della Guardia di Finanza"
La storia di Amina Nuget
Parallelamente a queste tragedie, ci furono episodi esemplari, in cui l'Amore prevalse su ogni forma di odio razziale, religioso, politico. Uno di questi episodi riguarda due nostri Compaesani, Amina Nuget e Umberto Natali. Erano due semplici contadini, che, non comprendendo il clima di persecuzione all'epoca imperante, decisero di nascondere e, quindi, salvare dalla sicura morte le bambine ebree Miriam, Lea e Michal Della Riccia, i cui genitori erano stati inviati in campo di sterminio. Le piccole, divenute grandi, non si dimenticarono mai del gesto compiuto dai loro nuovi genitori e si attivarono affinchè lo Stato d'Israele attribuisse ai due contadini uzzanesi il riconoscimento di "Giusto tra le Nazioni". Ciò avvenne nel 2006, in occasione di una cerimonia presso il nostro Mucipio, alla quale era presente soltanto Amina, rimasta vedova da molti anni. Oggi, i nomi di Umberto Natali e Amina Nuget, veri Uzzanesi, sono scolpiti sul muro della Memoria dello Yad Vashem di Gerusalemme.
Oggi a Umberto Natali e Amina Nuget è dedicato il Centro Polivalente di Uzzano.
Nelle foto in galleria, Amina Nuget seduta in mezzo alle sue due figlie acquisite Miriam e Lea.
Il racconto di Lea su Amina Nuget e Umberto Natali (Uzzano, 21/04/2004)
Ringraziamo il Sindaco di Uzzano, Rossella Pappalardo, il presidente del consiglio provinciale Marco Giunti, rappresentante dell'ambasciata d'Israele a Roma dr. Sara Ghilardi e tutti gli ospiti qui radunati per l'occasione importante di onorare Amina Natali e la memoria di Umberto Natali, i quali durante la seconda guerra mondiale hanno dato asilo nella loro casa alle mie due sorelle e a me nei giorni più tragici e pericolosi della nostra vita. Oggi onoriamo, qui, Amina e la memoria di Umberto Natali: più tardi i loro nomi saranno aggiunti ai nomi dei «Giusti fra le nazioni" sul muro della memoria al museo dell'olocausto Yad Vashem a Gerusalemme.
Oggi è il 21 Aprile 2004: il 21 aprile 1944 è il giorno nel quale i nostri genitori Fortunato ed Ester della Riccia sono stati arrestati e deportati al campo di sterminio di Auschwitz. La nostra famiglia, Mamma, Babbo e tre ragazze: Miriam di 19 anni, io Lea, di 17, Micol ,13 anni, lasciò Firenze quando i Tedeschi entrarono in Italia dopo la caduta di Mussolini. Andammo alle nostre terre di san Quirico dove poca gente ci conosceva. Umberto Natali era il nostro fattore ed era anche il nostro consigliere su cosa fare in situazioni diverse. All'inizio del 1944 la situazione si faceva più pericolosa e allora i miei genitori decisero di andare ad abitare a Pescia, in un appartamento di Piazza del Duomo (dove non ci conosceva nessuno). Mio padre decise di mandare me e mia sorella Micol al collegio 'don Bosco" a Montecatini, mentre i miei genitori e mia sorella restarono a Pescia nell'appartamento di Piazza del Duomo. 60 anni fa, alle sei del pomeriggio, i nazisti bussarono alla porta dell'appartamento di mio padre e chiesero: " E' lei il signore della Riccia?". Mio padre rispose "Sì, sono io!". Poi intravedendo mia sorella Miriam, i nazisti chiesero: "e questa è sua figlia?" Mio padre disse : "no" e Miriam svelta disse: "vado a prendere i documenti" e usci dall'appartamento e andò per strada a cercare mia madre per avvisarla di non tornare a casa. Non la trovò e mia madre cadde così anche lei, nelle mani dei nazisti. Una volta per strada Miriam non sapeva dove andare e si rivolse alla famiglia Natali. Questa la ricevette con affetto e, pur sapendo il pericolo che la famiglia correva dimostrò un grande coraggio. Verso le 7.30 di sera i fascisti vennero dalle suore a Montecatini: volevano arrestare me e Micol. Quando i nazifascisti erano nell'ufficio della Suora Superiora, un'altra suora venne nella sala da pranzo dove c'erano tutte le studentesse e ci chiamò fuori. Ci apri il cancello e ci disse di scappare perché i tedeschi ci cercavano. Al cancello del collegio c'era di guardia l'autista italiano dei nazisti che ci disse di voltare a destra, perché stava arrivando un camion di nazisti. Sul camion c'erano anche i miei genitori. Siccome Micol ed io non sapevamo ancora cosa era successo alla nostra famiglia decidemmo di andare a Pescia a piedi. Fatti pochi chilometri, però, ci siamo accorte che non ce la facevamo: era tardi quella sera, erano già le 8 e mezzo, e alle 9 e mezzo ci sarebbe stato il coprifuoco. Tornammo a Montecatini e chiedemmo asilo all'orfanotrofio "Madonnina del Grappa" Le suore ci misero nella piccola cappella che avevano nel parco e là Micol ed io passammo la notte. La mattina dopo venne un frate mandato dalla Suora Superiora e ci disse che i nostri genitori erano stati portati via e che i nazisti avevano aspettato Micol e me, alla porta di Pescia, fino alla mezzanotte. Il frate non sapeva niente di ciò che era accaduto a Miriam, l'altra nostra sorella. Quella cara persona ci accompagnò allora a Montecatini alto in un altro orfanotrofio, tenuto anche questo dalle suore. Nel frattempo Umberto Natali andò alle Don Bosco per sapere di Micol e di me. Le suore, le quali non conoscevano Umberto, dissero che loro non sapevano dove fossimo. Umberto tornò a casa a Pescia, triste e senza sapere il nostro destino. Intanto il nostro fratino dopo aver ricercato varie informazioni, tornò all'orfanotrofio di Montecatini Alto e ci disse, dove era Miriam e che Umberto ci cercava. Micol ed io prendemmo la nostra roba e andammo a Pescia. A quell'epoca non c'era il carburante e la corriera era trainata da cavalli. Arrivammo finalmente dai Natali e ci si riunì con Miriam. Umberto, cercandoci, andava sempre con la bicicletta. Questo era un pericolo per uomini giovani, la sera, perché i tedeschi facevano retate per le strade e mandavano poi questi uomini ai lavori forzati in Germania. Amina e Umberto avevano due bambine: Iolanda e Franca. La famiglia con la nostra venuta era aumentata di 3 ragazze ricercate dai tedeschi. Se i nazisti fossero entrati a casa Natali, avrebbero deportato noi e loro ad Auschwitz, oppure ci avrebbero fucilato tutti sul posto. Umberto e Amina sapevano molto bene il pericolo. Dopo diversi giorni andammo a Segromigno, vicino a Lucca, dove la sorella di mia madre era andata a nascondersi con la famiglia. Umberto veniva anche lì a portarci i prodotti della terra perché noi non avevamo carte annonarie. Veniva in bicicletta ed era per lui doppiamente pericoloso perché alla fine della guerra in casa degli zii come da tutti gli italiani di Segromigno vivevano accasermati i soldati tedeschi. Siamo rimasti a Segromigno fino alla fine della guerra. Mia sorella Micol è tornata da Amina e Umberto per molto tempo. Era come una figlia loro. Siamo riconoscenti ad Amina e Umberto per il loro coraggio e altruismo.
Come dicono i saggi ebrei: "chi salva la vita di una persona è come se avesse salvato il mondo intero".
A febbraio di quest'anno abbiamo fatto visita ad Amina e famiglia. Avevamo appena ricevuto la lettera dal museo dell'Olocausto di Gerusalemme, quando mio marito ed io siamo entrati in casa loro. Amina, che da tempo non può parlare, dopo averci abbracciato, ha detto, chiaramente, ripensando al passato "Quanto abbiamo pianto!"
Si, Amina, abbiamo pianto, però grazie a lei e ad Umberto noi tre sorelle siamo sopravvissute e abbiamo potuto anche sorridere.
Le storie di Alfiero Natali e Vinicio Silvestri
11 febbraio 1944, Egeo: affonda il piroscafo Oria. Muoiono 4200 italiani, militari di stanza a Rodi che avevano rifiutato, dopo l'armistizio, di continuare a combattere al fianco di fascisti e nazisti. Fra loro, due Uzzanesi: ALFIERO NATALI e VINICIO SILVESTRI
Natali Alfiero
Nato il 10 agosto 1923 a Uzzano. Figlio di Luigi e di Pia Ercolini, di religione cattolica, alto 1.62 m., torace 0.87 m., capelli castani di forma ondulata. Professione contadino con titolo di studio 4ª elementare. Venne chiamato alle armi giungendo il 10 gennaio 1943. Due giorni dopo venne inquadrato nel 9° reggimento artiglieria “Foggia”. Il 5 marzo 1943, dopo essere stato assegnato al 10° reggimento artiglieria C. d. A. “Napoli”, partì per «territorio dichiarato in stato di guerra». L’8 settembre 1943 venne catturato prigioniero dalle truppe tedesche. L’11 febbraio 1944 scomparve nel mare Egeo. Il 12 dicembre 1947 fu dichiarato irreperibile dal distretto militare di Pistoia. Il 24 aprile 1949 il distretto militare di Pistoia notificò che «nessun addebito può essere elevato in merito alle circostanze della cattura e al comportamento tenuto durante la prigionia di guerra».
A Uzzano, essendo un paese di piccole dimensioni, tutti conoscevano Alfiero. Fra gli abitanti si diffuse presto la voce che il soldato fosse disperso in un naufragio mentre lo stavano rimpatriando in Italia. La famiglia lo aspettò per molto tempo, invano: la notizia si rivelò vera solamente in parte, Alfiero morì in un naufragio mentre stava per essere deportato in Germania.
Silvestri Vinicio
Nato il 4 agosto 1923 a Uzzano. Figlio di Marino e di Nella Rafanelli, di religione cattolica, alto 1.68 m., torace 0.86 m., capelli castani di forma ondulata. Professione cameriere con titolo di studio 4ª elementare. Venne chiamato alle armi giungendo il 12 gennaio 1943. Due giorni dopo venne inquadrato nel 9° reggimento artiglieria C.d.A. “Foggia”. Il 5 marzo 1943, dopo essere stato assegnato al 10° reggimento artiglieria C. d. A. “Napoli”, partì per «territorio dichiarato in stato di guerra». L’8 settembre 1943 venne catturato prigioniero dalle truppe tedesche. L’11 febbraio 1944 fu disperso in seguito all’«affondamento della nave avvenuto nelle acque di Rodi (Egeo)». Il 7 aprile 1948 fu dichiarato irreperibile dal distretto militare di Pistoia. Il 16 aprile 1948 il distretto militare di Pistoia notificò che «nessun addebito può essere elevato in merito alle circostanze della cattura e al comportamento tenuto durante la prigionia di guerra».
A Uzzano, essendo un paese di piccole dimensioni, Vinicio era conosciuto da tutti. Fra gli abitanti si diffuse presto la voce che il soldato fosse disperso in un naufragio mentre lo stavano rimpatriando in Italia. Purtroppo la notizia si rivelò vera solamente in parte: Vinicio morì in un naufragio mentre stava per essere deportato in Germania.